La parola Mindfulness, traduzione inglese della parola “Sati” in lingua Pali (la lingua dell’antico Canone buddista), significa letteralmente presenza mentale o consapevolezza. È una forma particolare di consapevolezza, non cognitiva, non discorsiva; un modo di essere in contatto (non filtrato da immagini mentali piene di emozioni dolorose che trasformano e appesantiscono la realtà) con ciò che accade nel momento presente, nello stesso momento in cui accade.
Secondo la definizione di Jon Kabat-Zinn (1990), mindfulness significa “porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante”. Si tratta, quindi, di stato mentale correlato a particolari qualità dell’attenzione e della consapevolezza, in cui la persona ascolta e osserva le proprie emozioni, le proprie sensazioni fisiche e i propri pensieri, accettandoli così come sono, senza giudicarli, senza cercare di modificarli, né bloccarli.
Lo stato mentale della consapevolezza così intesa è lo stato naturale della mente intrinseca a noi esseri umani quando essa non è agitata dai movimenti di avversione e attaccamento, dalla proliferazione mentale, dalla confusione, dal torpore che la allontanano dalla chiara visione dell’esperienza del momento.
Teasdale: “qualificare la mente nella sua funzione di pura conoscenza/esperienza, non orientata a scopi, il cui focus è il permettere al presente di essere com’è e di permettere a noi di essere, semplicemente, in questo presente” implica il riuscire a diventare più intimi con la propria esperienza momento per momento attraverso l’esercizio sistematico dell‘osservazione (attenzione intenzionale non giudicante) di ciò che sorge fuori e dentro di sé, con una sospensione intenzionale dell’impulso a definire, valutare e giudicare l’esperienza. La Mindfulness non agisce sui contenuti dolorosi, interni o esterni che siano, ma sulla relazione che con essi abbiamo.
Riuscire a prestare attenzione alle proprie esperienze interne promuove un aumento della consapevolezza nel senso che produce e rinforza risposte comportamentali più flessibili, efficaci e guidate dagli scopi personali: il divenire consapevoli dei nostri pensieri, emozioni e sensazioni, ci aiuta a prenderne le distanze, a non identificarci con i nostri contenuti mentali, ma a ‘leggerli’ come esperienze interne indipendenti dal nostro sé. Come afferma Kabat-Zinn (1990), infatti, i pensieri sono solamente pensieri, non rappresentano la realtà; la consapevolezza che noi non siamo i nostri pensieri porta al distanziamento da essi e alla possibilità di entrarci in relazione per quello che in realtà sono: semplici eventi mentali, indipendentemente dal loro contenuto o dalla loro carica emotiva.
Le pratiche Mindfulness aiutano a coltivare alcune qualità mentali: pazienza, attenzione non giudicante, accettazione, curiosità, chiarezza mentale, serenità, decentramento, compassione, gioia, e sono utili a liberare la mente stessa dalla morsa dell’avversione (che si trasforma in rabbia persecutoria o in depressione); dalla paura (da cui la negazione e la confusione), dall’auto-referenza (perché proprio a me…); dall’attaccamento ad una identità cristallizzata (che porta all’impossibilità di rispondere efficacemente alle richieste di cambiamento psicologico, fisico e sociale che la malattia impone).
Diversi studi hanno evidenziato l’efficacia di queste pratiche sia sul piano psicologico che sul piano fisico: riduzione dei livelli di stress, ansia, depressione e miglioramenti riguardo a disturbi del sonno, astenia, dolore e nausea.
Le pratiche di consapevolezza hanno dunque effetti biologici che possono:
- promuovere la salute
- ridurre lo stress associato alla malattia
- ridurre i sintomi ansiosi e depressivi
- ridurre l’irritabilità
- migliorare la qualità del sonno e della vita
Mindfulness e Fisiologia
Effetti sul cervello
Amigdala
Viene attivata quando percepisce o reagisce a stati emotivi, in modo particolare ad emozioni difficili come la paura. Questa parte del cervello è meno attivata ed ha una densità minore di materia grigia in seguito ad un training di Mindfulness
Ippocampo
Una zona cruciale per sviluppare le capacità di apprendimento e di memoria. L’ippocampo aiuta a regolare il funzionamento dell’amigdala. A seguito di una pratica di mindfulness questa parte del cervello è più attiva ed ha una materia grigia più densa.
Corteccia prefrontale
Questa parte del cervello è la più associata con la maturità, include la capacità di regolare le emozioni ed i comportamenti e di fare delle decisioni mature. Questa parte è più attiva e connessa a seguito di un training di Mindfulness.
Effetti sul comportamento e lo stato d’animo
Riassumendo i dati delle ricerche di numerosi e approfonditi studi sulla pratica Mindfulness in diversi campi possiamo dire che i suoi benefici siano apprezzabili in termini di:
Aumento dell’attenzione, includendo una migliore performance su dei compiti oggettivi che misurano l’attenzione.
La Mindfulness è associata con una migliore autoregolazione emotiva. La Mindfulness crea cambiamenti nel cervello che corrispondono a minor reattività, migliore abilità ad essere operosi in vari compiti anche quando le emozioni sono attivate.
Persone casualmente scelte per fare un training di Mindfulness hanno successivamente maggiori probabilità di prestare aiuto a persone bisognose ed hanno maggiore auto-compassione.
Riduce i sentimenti di stress e migliora lo stato di ansia e oppressione quando si è posti in situazioni sociali stressanti.
Riduce le ansie da prestazione in vari ambiti della vita sociale e privata, riduce la percezione dello stress, riduce gli effetti di Sindromi Post Traumatiche da Stress (PTSD) e riduce la depressione.
Mindfulness e Neuroscienza
Uno dei principi su cui si basa tutto l’apparato concettuale della Mindfulness riguarda l’unione mente-corpo, tale rilevanza è basata ad esempio sulla consapevolezza che il riconoscimento e la descrizione delle sensazioni e delle percezioni del corpo veicolano informazioni riguardo alla sfera cognitivo-emotiva.
Integrazione neurale
La consapevolezza dell’esperienza che facciamo momento per momento ci dà la possibilità di sentire e accettare direttamente la nostra esperienza mentale. Questo stato di consapevolezza può coinvolgere in uno stato integrato varie regioni del cervello, incluse aree importanti della corteccia e le aree subcorticali del sistema limbico e del tronco encefalico. Questi percorsi di integrazione possono giocare un ruolo cruciale per il benessere e l’autoregolazione. (D. J. Siegel, 2009).
Mindfulness e decisione
È possibile, quindi, ritrovare nella meditazione Mindfulness un’attivazione contemporanea delle aree cerebrali frontali adibite alle capacità esecutive e di allerta, che inizialmente avrebbero la funzione di indirizzare e sostenere l’attenzione, e in seguito quella di sostenere l’intenzione di proseguire nella consapevolezza al momento presente, attraverso l’influenza sui processi decisionali.
Farb e neuroscienze
Per raggiungere un livello conoscitivo sempre più elevato in effetti all’interno delle Neuroscienze è nata una branca che si occupa in modo specifico della Mindfulness. Norman Farb in questo senso può essere considerato il capostipite di questo settore delle neuroscienze con il suo contributo “Mindfulness meditation reveals distinct neural modes of self-reference” del 2007.
Neuroplasticità – Haselkamp
Via via che la Mindfulness si è diffusa nel mondo scientifico e psicologico e si è imposta anche all’interno del Cognitivismo, le Neuroscienze hanno iniziato a occuparsene per studiarne gli effetti sul cervello dei praticanti. Le ultime ricerche suggeriscono come la Mindfulness promuova cambiamenti funzionali nel cervello mediante la neuro plasticità.
Haselkamp in uno studio del 2012, conferma questa ipotesi e asserisce che questi cambiamenti nella connettività funzionale siano duraturi nel tempo, dimostra infatti come praticanti con molti anni di meditazione siano caratterizzati da una maggiore connettività all’interno delle reti attenzionali e tra queste e le regioni prefrontali mediali. Questi dati secondo Haselkamp causerebbero un maggior sviluppo nei praticanti mindfulness delle abilità cognitive, nel mantenere l’attenzione e nello svincolarsi dalle distrazioni.
Luders e la corteccia prefrontale
Luders nel 2012 ha condotto una ricerca in cui voleva indagare gli effetti cerebrali della meditazione a seconda del numero di anni di pratica. I risultati suggerivano come meditando per molti anni avvenisse un aumento di spessore e un potenziamento dei lobi frontali e in particolare della corteccia prefrontale mediale.
Quest’ultima dialoga ricevendo informazioni e dando indicazioni con il cervello emotivo (sistema limbico) e con il più arcaico cervello rettile (rinencefalo), favorendo l’integrazione fra le funzioni esercitate da queste aree. Le modifiche al cervello avvengono per mezzo di cosiddette pieghe corticali dette ‘girificazioni’, ossia la formazione di giri e solchi cerebrali.
Elaborazione, decisioni e memoria
I ricercatori ritengono che la formazione di queste pieghe possa promuovere e valorizzare l’elaborazione neurale (Luders , 2012). E più girificazioni si formano più il cervello riesce a lavorare meglio, un’efficienza che si mostra in una migliore elaborazione delle informazioni, facilità nel prendere decisioni e migliore memoria.
Luders nel suo studio aveva dimostrato una correlazione tra gli anni di meditazione e la quantità di piegature corticali formatesi nel tempo: l’osservazione delle scansioni ha mostrato significative differenze in base agli anni di pratica meditativa.
Nello specifico si sono riscontrate maggiori girificazioni nelle persone che praticavano la meditazione, rispetto a coloro che non meditavano.
In più questi solchi corticali erano maggiori con l’aumentare degli anni di pratica meditativa. ‘La correlazione positiva tra la girificazione e il numero di anni di pratica sostiene l’idea che la meditazione aumenta la girificazione regionale del cervello‘, conclude Luders.
Le conferme di Hauswald
Di conseguenza coloro che meditano da più anni tramite una maggior profilatura della corteccia cerebrale sarebbero in grado di trattare più velocemente le informazioni rispetto a chi medita da meno anni e a chi non pratica la meditazione.
Questo è stato confermato da Hauswald che nel 2015 ha trovato ulteriori conferme di come lo spessore corticale sia aumentato per i praticanti di mindfulness.
Dott.ssa Rosamaria Aloisi – Psicologa clinica
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